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di Lorenzo Dell’Aquila

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ha affascinato e continua ad affascinare l’immaginario collettivo, personale, culturale e artistico. E uguale fascinazione è esercitata dalle scoperte archeologiche che la riguardano. Scoperte che hanno permesso di portare alla luce brandelli di una storia remota, sepolta (nel vero e più macabro senso della parola) ma perfettamente in grado di parlare al presente.

Quando il 23 marzo del 1748 per volere della dinastia borbonica prende il via il primo cantiere archeologico nella zona di Civita a Pompei, il “secolo del lumi”, abituato a confrontarsi con i fasti, le glorie e le maestosità del passato, viene di colpo sconvolto dalla “miseria” della vita quotidiana. L’antichità non è più rappresentata solo da ricchi paramenti, architetture meravigliose, edifici imponenti ma dalla quotidianità nei suoi aspetti più intimi e comuni. Quello sconvolgimento non avrà più fine. Diventerà “energia” per la ricerca, per l’indagine.
Ne sono indiscutibilmente simbolo i calchi in gesso. La tecnica, messa a punto da Giuseppe Fiorelli(direttore degli scavi di Pompei a cavallo dell’Unità d’Italia) ci ha restituito la presenza di persone impaurite, disperate, in alcuni casi rassegnate, abbracciate. Lo stesso Fiorelli parlò del suo metodo come di “calchi rapiti alla morte” prefigurando, in una lettera al Giornale di Napoli, che, da quel momento in poi, la storia non si sarebbe più studiata sul bronzo delle statue “ma sugli esseri viventi”.

In un clima culturale e scientifico completamente diverso, il dibattito scientifico-culturale sul rapporto tra catastrofe/morte e scoperta/vita ha tratto nuova linfa dall’individuazione nel 1967 dell’insediamento risalente all’età del bronzo di Akrotiri, a Santorini. Antico centro minoico distrutto da una spaventosa eruzione nel 1613 a.C. (evento datato dagli studiosi al periodo precedente al mese di giugno, per la sistematica assenza di residui organici nei vasi da conserva portati alla luce). Attualmente gli scavi hanno portato alla luce circa un decimo del sito ed hanno restituito, sotto lo spesso strato di cenere vulcanica, ceramiche, edifici e affreschi (come ad esempio “le adoranti”, esposte al pubblico per la prima volta, e i cosiddetti “dipinti dei pescatori”)  in perfetto stato di conservazione. Esattamente come accade a Pompei, grazie all’indagine archeologica viene riportata in vita una civiltà ricca e complessa, evocando – se non addirittura sublimando – allo stesso tempo l’evento tragico che ne ha segnato la fine.

La mostra non propone un semplice confronto tra i due siti, ma un dialogo continuo tra le due civiltà del passato e i nostri giorni – molto interessante l’integrazione nel percorso di visita di opere moderne e contemporanee (da Turner a Warhol a Burri). Un dialogo ricco di speranza, in cui la “morte” (il passato) è restituita alla “vita” (il presente) come reperto organico, cristallizzato, attraverso l’arte.

POMPEI E SANTORINI. L’ETERNITA’ IN UN GIORNO.

11 Ottobre 2019 – 6 gennaio 2020

Scuderie del Quirinale, Roma.